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Padre padrone

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Insight
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Padre padrone

Messaggio da Insight »

Famoso romanzo autobiografico scritto dall’ex pastore sardo Gavino Ledda, pubblicato da Feltrinelli nel 1975, e dal quale i fratelli Taviani, due anni dopo, trassero un altrettanto famoso film che si aggiudicò la Palma d’Oro al Festival di Cannes.
Gavino Ledda, nato a Siligo, in provincia di Sassari, nel dicembre del 1938, cresciuto ed educato pastore in un’aspra terra chiamata in lingua sarda Baddhevrùstana (Vallefrondosa) e analfabeta fino all’età di vent’anni, è riuscito ad emanciparsi, a studiare fino a conseguire la laurea in Lettere, a diventare professore universitario di Linguistica sarda e a scrivere un libro – raccontando semplicemente la sua storia – che sarà ricordato per sempre per la sua qualità letteraria e la sua forza emotiva, che ancora oggi commuove.
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Una mattina di febbraio del 1944, mentre il piccolo Gavino si trova seduto al banco della prima elementare, viene portato via dal padre, Abramo Ledda, che entra in classe coi suoi abiti da pastore e dopo una breve discussione con la maestra, che tenta di dissuaderlo, si porta via il figlio, che essendo il primogenito dovrà aiutare la famiglia, imparando a custodire le pecore mentre il padre penserà a coltivare la terra.

Sul campo di Baddhevrùstana, in collina, Abramo Ledda possiede un ovile con una capanna, un piccolo gregge e il cane Rusigabèdra (Rosicchiapietra), che tiene a bada le pecore. Qui si svolge l’educazione del giovanissimo pastore, che ha soltanto cinque anni ma impara presto tutto ciò che un bravo pastore deve sapere: ad orientarsi, a conoscere perfettamente il campo e il bosco circostante punto per punto, a sopportare il dolore, il freddo, la fame e le pulci. A non avere paura degli insetti e dei serpenti, ad entrare in simbiosi con la natura, con il silenzio e i rumori della campagna. Ad abituarsi a lunghi periodi di solitudine…

L’apprendimento graduale si svolge come uno “svezzamento”: giorno per giorno, con grande sofferenza, il piccolo Gavino deve liberarsi dalle abitudini, dalle normali paure infantili, e diventare un pastore adulto, dimenticando di essere soltanto un bambino. Purtroppo questa durissima educazione viene impartita da Abramo non solo con le parole (poche, in verità), ma anche e soprattutto a suon di cinghiate e bastonate, con punizioni crudeli durante le quali il padre si trasforma in patriarca e padrone, facendo prevalere la legge della frusta…

Un giorno, solo per aver sorpreso il bambino in compagnia di un altro giovane pastore (contravvenendo così alla regola che vieta ai pastori di parlare tra loro mentre lavorano), Abramo lo frusta a sangue col ramo di un cespuglio, colpendolo sul viso e sugli occhi. Trasportato sul dorso dell’asino in paese dal padre stesso, che si rende conto di avere esagerato, il piccolo Gavino, con gli occhi gonfi e intrisi di sangue, rischia di perdere la vista. Per fortuna riescono a salvargli gli occhi, ma le cicatrici sulle palpebre e intorno rimarranno visibili per sempre.
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Dopo soltanto un anno dalla sua venuta a Baddhevrùstana, Gavino è già un vero pastore e non appena si irrobustisce un po’, il padre lo utilizza non solo per il gregge, ma anche per lavorare duramente nei campi...

A otto-nove anni, Gavino è già come un adulto e quando ritorna in paese per dei brevi periodi di vacanza non si sente a suo agio con i bambini della sua età, non capisce i loro giochi e, addirittura, dopo qualche giorno si sente spaesato e non vede l’ora di tornarsene lassù in collina, tra le sue pecore…

Il lungo e faticoso cammino verso l’emancipazione del giovane pastore inizia grazie al richiamo della musica. Estasiato dal canto di un altro giovane pastore di nome Nicolau, che lavora nel campo vicino al suo, Gavino decide, di nascosto dal padre, di imparare a suonare la fisarmonica. A poco a poco, con grande sacrificio, prendendo lezioni da un suo parente, che riesce a convincere il padre a permettergli di imparare a suonare (senza, naturalmente, mai trascurare il lavoro), il giovane Gavino riesce a diventare un buon fisarmonicista, in grado di suonare le più famose ballate sarde, i valzer e i tanghi.

L’anno della vera e propria svolta è il 1958: Ledda parte volontario per la scuola militare per allievi sottoufficiali. Prima di arruolarsi, tuttavia, egli deve conseguire obbligatoriamente la licenza elementare. Dopo aver preso qualche lezione dalla maestra del paese, Gavino si presenta insieme a tanti altri giovani pastori per sostenere l’esame, alla vigilia della partenza. Tutti, anche se sanno leggere e scrivere a stento, conseguono la licenza, poiché il Ministero della Pubblica Istruzione ordina di far superare l’esame di quinta elementare a tutti i pastori sardi che vogliano arruolarsi nell’esercito: in tal modo il governo può fare propaganda sulla lotta all’analfabetismo che sta portando avanti…

Il risultato è che alla fine degli anni Cinquanta tutte le caserme d’Italia sono piene di pastori sardi semianalfabeti e la loro integrazione nell’ambiente militare è difficilissima. Così è anche per l’allievo sottoufficiale Gavino Ledda, che il 30 giugno del 1958 parte per il Corso Addestramento Reclute a Siena. Come tutti gli altri pastori sardi che si ritrovano nella sua caserma, egli si esprime in lingua italiana con molta difficoltà e spesso non è nemmeno in grado di comprendere gli ordini che gli vengono dati…
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Superato, con mille difficoltà, il Corso di Addestramento, l’allievo sottoufficiale Ledda viene poi destinato, per un errore commesso da chi in Sardegna lo aveva aiutato a compilare la domanda, alla scuola di specializzazione per radiomontatori a Roma: una scuola per la quale è necessario avere il diploma di terza media, mentre lui sa appena leggere, scrivere e fare le quattro operazioni.

Con grande caparbietà, senza rivelare l’errore (che gli costerebbe l’espulsione dalla scuola), grazie anche all’aiuto di un suo compagno di corso e di un capitano che rimane colpito dalla sua grande forza di volontà, Ledda, studiando anche di notte chiuso nei bagni della caserma, riesce a superare l’esame finale e diventa un radiomontatore dell’esercito.

Nel maggio del 1962, Gavino si congeda col grado di sergente. Nei tre anni di ferma ha conseguito anche la licenza media, sanando l’errore contenuto nella domanda di iscrizione alla scuola per radiomontatori.
Tornato in Sardegna, decide che la sua vita dovrà cambiare. Pur continuando a dare una mano nella proprietà del padre, si iscrive al liceo classico e dedica la maggior parte del suo tempo allo studio. Ciò provoca gravi contrasti col genitore, che a un certo punto gli intima di andarsene se non intende più lavorare.

Ma Gavino ritiene di essere in credito col padre, che gli ha rubato l’infanzia e gran parte della giovinezza: egli perciò ha diritto di rimanere ad abitare nella casa familiare anche se non lavora duramente a tempo pieno, come il suo genitore vorrebbe.

Il libro si chiude con lo scontro finale, non solo verbale ma anche fisico, tra Gavino e Abramo, ormai indebolito dagli anni e dal duro lavoro. Dopo essere stato aggredito con un bastone di legno (come ai vecchi tempi), il figlio, che ora è un giovane di ventiquattro anni nel pieno delle sue forze, con una sola spinta fa ruzzolare il padre a terra, umiliandolo davanti agli altri membri della famiglia.

Dopodiché, lo stesso Gavino si rende conto che non può più rimanere là, nella casa del “padre padrone”, dopo averne contravvenuto la legge. Un giorno egli capisce che è venuto il momento di andarsene, di “spiccare il volo” e di lasciarsi per sempre alle spalle quel mondo, di cui sente di non fare più parte…
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lisa jean
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Re: Padre padrone

Messaggio da lisa jean »

Ricordo benissimo il film dei Taviani (confesso, non è fra i miei preferiti dei famosi fratelli, che hanno regalato al pubblico film magnifici): la storia mi colpì come un pugno nello stomaco.
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galerius
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Re: Padre padrone

Messaggio da galerius »

Anch'io come Lisa e penso tanti altri qui ho visto il film dei Taviani.
Del volume ho letto solo qualche pagina, e ho il ricordo di uno stile scarno, essenziale, crudamente lucido. Prima o poi lo riprenderò per leggerlo interamente.

Dopo l'uscita - non so se del libro o del film, penso quest'ultimo - c'era stata anche qualche polemica...a detta di alcuni esponenti autonomisti, Ledda aveva dato della Sardegna rurale un'immagine esclusivamente negativa. Ho il ricordo di un confronto televisivo in tal senso fra l'autore e un signore barbuto, che doveva essere uno studioso di folklore e musica sarda...
Attento, Black Jack, perché adesso ti tingo...sarebbe "ti tengo", ma è per far rima con...GRINGO...!
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Re: Padre padrone

Messaggio da Insight »

Dopo l'uscita del film, persino l'allora ministro dell'Interno Cossiga, anche lui sardo di Sassari, ebbe da ridire... Secondo lui, Ledda non avrebbe dovuto rendere pubbliche certe "storie" sulla Sardegna, perché "noi sardi siamo abituati a lavare i panni sporchi in casa...".

Il film mi è piaciuto, soprattutto per l'ambientazione e l'impronta giustamente "neorealistica". Ma nel film la storia è "oggettivizzata" e manca il punto di vista del protagonista... Le sue riflessioni, le sofferenze, le speranze, ma anche l'ottimismo e la sua enorme voglia di riscatto.

Gavino Ledda è una grande persona e solo leggendo il libro lo si capisce veramente.
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Mauro Tozzi
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Re: Padre padrone

Messaggio da Mauro Tozzi »

Il successo del libro e del film ha anche fatto entrare nel linguaggio comune l'espressione "padre padrone". ;)
Occhi di gatto, un altro colpo è stato fatto!

Per far vincere i cattivi, basta che i buoni non facciano niente.
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