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Niente resurrezioni, per favore

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Insight
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Niente resurrezioni, per favore

Messaggio da Insight »

Altro romanzo del 1979, scritto dal tedesco Fred Uhlman e che costituisce in un certo senso il seguito “ideale” (o meglio l’ “altra faccia”) del suo ben più famoso “L’amico ritrovato” (1971).

Protagonista è il cinquantenne Simon Elsas, ebreo tedesco che ritorna a visitare la sua patria dopo essere stato costretto ad abbandonarla vent’anni prima, a causa delle persecuzioni razziali di Hitler. Emigrato negli Stati Uniti dopo le leggi di Norimberga, che in pratica rendevano impossibile la vita in Germania ai cittadini di religione ebraica, Elsas è diventato un pittore ed ha acquisito la cittadinanza americana.

Giunto dopo vent’anni di assenza nella sua città natale, Stoccarda, anzitutto non la riconosce più, essendo tutta luccicante di insegne pubblicitarie, piena di negozi, alberghi, ristoranti, supermercati, concessionari d’automobili lussuose, case da gioco, locali notturni e banche. Una città baciata dal miracolo economico e trasformata in un simbolo del nuovo benessere occidentale. La terribile guerra che l’aveva distrutta, finita solo una decina d’anni prima, pare non esserci mai stata.

In secondo luogo, Elsas non riesce a fare a meno di pensare, mentre solitario osserva i passanti che affollano le strade, specialmente i meno giovani, che ognuno di essi ben può essere un ex nazista o un ex collaboratore del regime che ha distrutto la sua giovinezza e sterminato la sua famiglia d’origine, insieme ad altri milioni di persone. Di quel terribile genocidio, tuttavia, egli non vede e percepisce alcuna traccia, alcuna memoria, né nei luoghi né negli occhi né nei discorsi delle persone che incontra. E’ come se non fosse mai successo nulla…
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Fin dai primi giorni dopo il suo arrivo a Stoccarda, Elsas viene pervaso da una cupa inquietudine e prova il desiderio di ripartire al più presto.
Le cose peggiorano quando in un ristorante incontra un suo vecchio compagno di liceo “ariano”, Fritz Haber, divenuto nel frattempo un distinto signore di mezza età, bene in carne e piuttosto ricco, avendo sposato la figlia di un industriale di automobili.

Haber, con l’aria gioviale del vecchio compagnone, non fa che ricordare i “bei tempi del liceo”, mettendosi a canticchiare le spassose canzonette goliardiche e ripercorrendo con la memoria gli scherzi e le avventure dell’ormai lontana gioventù, mentre nella mente di Elsas è ancora vivo e doloroso il ricordo delle prime discriminazioni razziali che già tra i banchi di scuola avevano iniziato a tormentarlo, essendoci stati molti simpatizzanti nazisti “della prima ora” sia tra gli studenti sia tra gli insegnanti…

Non una parola di Haber viene spesa per ricordare tutto quello che è successo dopo il liceo: la tragedia che ha colpito il suo ex compagno, il suo espatrio forzato, i familiari deportati e mai più tornati dai campi di sterminio; e anzi, nella sua dialettica grossolana e logorroica, egli si lascia sfuggire persino delle considerazioni molto infelici sugli ebrei. Ma, soprattutto, Haber evita accuratamente di dire che cosa ha fatto lui negli anni della guerra…

Spinto da un doloroso ricordo, Elsas si reca poi a trovare il suo grande amore della gioventù; amore che è stato anch’esso distrutto dalla dittatura di Hitler, che ha costretto il giovane Simon a lasciare la sua patria per salvarsi la vita e quindi anche ad abbandonare la sua fidanzata “ariana”, la donna con la quale avrebbe voluto costruire una famiglia.

Charlotte von Guttlingen, che un tempo era una splendida ragazza bionda della quale Elsas era follemente innamorato, abita ancora nella stessa graziosa villetta, ma ora la sua bellezza è sfiorita e lei è quasi irriconoscibile. L’incontro fra i due è molto freddo e imbarazzante per entrambi: anche su Charlotte, purtroppo, pesa l’ombra della collaborazione col regime nazista...
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Dopo aver visitato i luoghi della sua infanzia e giovinezza e aver ripercorso con la memoria i ricordi più dolorosi, Elsas partecipa obtorto collo a una cena con i suoi vecchi compagni di liceo, dove Fritz Haber tiene banco insieme a tanti altri ex studenti, tutti “ariani” e tutti divenuti dopo la guerra rispettabilissimi e onoratissimi cittadini: uomini d’affari, industriali, banchieri, avvocati e persino un giudice…

L’allegra tavolata se la spassa a ricordare gli anni della gioventù, ancora una volta senza mai fare parola del genocidio, del regime hitleriano, di ciò che essi personalmente hanno fatto durante la guerra…

Elsas, che se ne sta taciturno e in disparte, a un certo punto viene in pratica costretto dai commensali a pronunciare qualche parola ad alta voce, per ricordare anche lui i “bei tempi andati”. Così, finalmente egli si libera da ciò che lo tormenta. In un vibrante e inatteso discorso, infatti, Elsas ricorda a tutti i presenti quello che c’è stato e che ora essi fanno finta di non ricordare: non soltanto la guerra, ma lo sterminio degli ebrei, l’abominio dei lager, i milioni e milioni di morti... Egli conclude affermando di non poter partecipare alla gioia dei suoi ex compagni “ariani”, perché un abisso li separa: almeno finché non saprà e avrà la certezza che le loro mani non siano sporche di sangue…

Il discorso di Simon Elsas ha l’effetto di una bomba e squarcia il velo di ipocrisia che avvolgeva la tavolata. I suoi vecchi compagni di scuola precipitano nello scompiglio. Chi ammette e chi non ammette le proprie responsabilità. Chi tenta di giustificarsi, chi dice di aver dovuto eseguire gli ordini, chi scarica accuse infamanti al vicino di tavola per allontanare l’attenzione e i sospetti da se stesso; chi, nonostante tutto quello che è successo, grida ancora in difesa di Hitler…

Tutti, in pratica, si sono compromessi col regime nazista, alcuni erano addirittura nelle SS e salta fuori che lo “spassoso” Fritz Haber ha fatto fucilare dei civili francesi (si dice addirittura trenta, ma lui ci tiene a precisare che gli ostaggi uccisi erano “soltanto” nove…).
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Elsas abbandona la cena e, amareggiato ma anche sollevato, decide finalmente di ripartire per l’America.
Poco prima della partenza, lo raggiunge, quando è già sul taxi per l’aeroporto, una lettera di Charlotte, il suo antico amore, nella quale finalmente, con sincerità, essa ammette le proprie colpe, che la tormentano e la tormenteranno per sempre, rendendole estremamente penosa e sofferta la sua stessa esistenza. Al punto che essa si augura che non ci sia un’altra vita dopo la morte: “Niente resurrezioni, per favore. D’inferni ne basta uno…”.
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Un racconto, più che un romanzo, breve e incisivo, scritto in uno stile scarno ed essenziale, particolarmente adatto ad esprimere l’inquietudine e il dolore del protagonista, che non possono trovare alcun conforto e consolazione. Forse preferibile all’Amico ritrovato, che, a mio parere, pur essendo un bel romanzo e più elaborato di questo, scivola un po’ nel sentimentalismo.
"Lo stolto continua a parlare mentre gli strumenti dicono molto più di questo, stai tranquillo e ascolta quello che non puoi esprimere" (andromeda57)
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Anni 80? No, grazie
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Whiteshark
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Re: Niente resurrezioni, per favore

Messaggio da Whiteshark »

Avevo letto "L'amico ritrovato" leggerò volentieri questo libro.
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