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Monsieur Kitsch

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Insight
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Monsieur Kitsch

Messaggio da Insight »

Romanzo diviso in tre racconti brevi, scritto da Antonio Debenedetti, poeta, scrittore e critico letterario, pubblicato nel 1972. In quell'anno il libro si aggiudicò il Premio Viareggio Narrativa Opera Prima.


Una metafora barocca dell’accidia piccolo borghese”, così è definito questo romanzo sulla quarta di copertina dell’edizione originaria.

Veramente difficile riassumere e descrivere i tre racconti che lo compongono, essendo le trame inconsistenti, metaforiche e dunque irreali, tutte incentrate sui vili e molto meno che mediocri protagonisti, che riassumono in se stessi i vizi e le meschinità della classe piccolo borghese.

Il piccolo borghese è accidioso, si lascia vivere, non ha ideali, è un voltagabbana, è indifferente a tutto, è egoista, non dice mai quello che pensa, ha paura del giudizio degli altri, si sente nel suo intimo frustrato e fallito: in effetti, è un fallito, ma non per questo soffre…anzi, mentendo anche a se stesso, si autoconvince di stare bene e vuol far credere agli altri di essere un uomo importante (sogna, infatti, di compiere grandi imprese per le quali sarà ricordato dai posteri…).

Nella sua vita indolente, l’ozioso piccolo borghese mira a circondarsi di agi (anche di oggetti inutili e di cattivo gusto), fa il parassita e tiene nascoste le sue più triviali abitudini. E’ privo di autentiche passioni e la sua principale e vera occupazione è quella di combattere contro la noia che dentro lentamente lo corrode…
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Ecco, allora, gli impietosi ritratti dei tre protagonisti dei rispettivi racconti, che si assomigliano tutti nella loro bruttezza; bruttezza sia del corpo sia dell’anima…

Metello Rulli, il Monsieur Kitsch protagonista del primo omonimo racconto, giunto all’età di cinquant’anni:

Di aspetto sgradevole quantunque regolarissimo nei tratti, sfatto e tendenzialmente sudicio, Tete (diminutivo di Metello) aveva trovato solo di recente una certa confidenza con la propria figura. Per anni si era tenuto lontano dagli specchi, evitando accuratamente anche le luci dirette o i colpi di vento, che squilibrano la persona. Quelle improvvise folate, quei vortici capricciosi, che gonfiano la giacca e avvitano spietate il calzone alla gamba troppo magra, inaccettabile, a confronto del sedentario deretano. Come dio aveva voluto, quelle rimembranze erano tuttavia una caricatura del passato. Forte di talune acquisizioni sociali, più efficaci di qualunque tonico nervino, Metello si drizzava ormai spavaldo sopra le proprie carni flaccide, esponendo alla vista altrui inopinati gnocchi o gomitoli di grassume. Si attribuiva una personalità maiuscola, irresistibile. Paragonava i suoi due soldi di naso sbrecciato, in linea con la fronte bombata, al profilo di un Cesare…”.


Il professor Pompeo Amicucci, protagonista del secondo racconto, intitolato Mitologia e stantuffi:

Schivo, riluttante ai grandi propositi, aspettava di venire prescelto dal rischio. Inoltre, accadesse quel che poteva, era perennemente costretto dal proprio temperamento a lasciare qualcosa di imponderato: una smagliatura nel tessuto compatto delle res gestae e delle res gerendae. Moralista e lavoratore instancabile, trascurava insomma qualche punto vitale, offrendo così succulenta esca al rimorso. Consapevole di questa e di altre deficienze, Amicucci cercava conforto nella dignità della propria barba biondastra, che ogni mattina si trovava cresciuta con progresso uguale e contrario a quello di un invadente senso di colpa. Per non soffrire fino allo strazio, il gigante che era in lui aveva imparato a dormicchiare in un letto di febbre spenta. Tendenzialmente sordastro, con le orecchie un po’ sporche nascoste dietro le abbondanti basette leonine, impetuoso come una ventata, Pompeo imparò a soffiar via i ricordi indigesti, i molesti e penosi soprassalti della coscienza forzando una scorreggia…”.


Oscar, protagonista dell’ultimo racconto, dal titolo Il coccorito ruffiano:

Oscar aveva il volto pesante e non aveva mento. Le sue labbra erano immobili e scure come la creta. Le guance di un colore tra bruno e olivastro gli scendevano flaccide e rugose verso il naso, creando due piccole borse sotto le mascelle. Avvolto da una vaga aria di sventura, a trent’anni, Oscar sfuggiva la compagnia degli uomini: temeva le loro parole impietose, gli sguardi di complicità o di sottinteso, che accendono un istante le loro pupille. Pur senza riconoscersi in nessuna classe sociale, disprezzava e in cuor suo odiava i vagabondi, le streghe, i mendicanti vestiti di panni notturni, i falsi ciechi e gli untuosi camerieri, che gli sembrava riempissero le strade del mondo. Orgoglioso ma timido si mostrava distratto, impreciso, assente. In ogni modo, era perennemente altrove, nascosto e sepolto dalla sua inaccessibile, forse provvidenziale goffaggine. Oscar sapeva vivere di nulla. Costruiva minuscoli velieri che drizzavano le loro alberature sotto un immobile cielo di vetro: velieri in bottiglia, che vendeva per pochissimi soldi. Nemmeno al denaro riusciva però a dare la giusta importanza. Perché si sarebbe dovuto preoccupare?...”.
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Come i tre personaggi si assomigliano tutti interiormente ed esteriormente (il loro aspetto fisico è sicuramente lo specchio della loro viziosa morale), così sono abbastanza simili le metaforiche storie di cui sono protagonisti.

Metello (il Monsieur Kitsch del primo racconto) finge con se stesso e con gli altri di essere un consumato artista (“un uomo di spettacolo”, come ama definirsi), mentre in realtà scrive commedie musicali di quart’ordine (insieme al suo socio Occhiodoro) che vanno in scena in uno squallido teatro di avanspettacolo, nei bassifondi romani. Si autocompiace a sentirsi chiamare “Maestro”, passa la mattina a dormire o a poltrire. E’ scapolo, ma ha un’amante che tiene nascosta e non disdegna di passare la notte con prostitute. Di notte ama anche travestirsi...
Vive con l’anziana madre che lo adula; e quando, alla fine del racconto, essa si ammala gravemente, lui fa un voto a Santa Rita chiedendole di “lasciarla pure inferma e strisciante, ma viva…”.

Il professor Amicucci, analogamente, finge di essere un grande inventore ed esploratore dei cieli. Ma in realtà la sua inettitudine lo porta prima a causare la morte della moglie e a subire un processo per uxoricidio, e infine addirittura ad uccidere se stesso: decollando a bordo della sua nave spaziale, si rende conto infatti, una volta raggiunti gli spazi siderali, di aver dimenticato le riserve di carburante sulla Terra…

Infine, Oscar, che ha scelto di sposare una donna brutta e grassissima, è sessualmente impotente e scopre che sua moglie se la spassa in una “pensione” proprio vicino a casa sua (frequentata anche da “ministri di culto”). Ma lui riesce a convivere ugualmente con tutte le sue frustrazioni, perché in fondo se ne frega…
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Lettura breve ma piuttosto faticosa, appesantita molto dal linguaggio baroccheggiante. Il tenore dei racconti spazia tra il comico e il grottesco. In sottofondo, appena un po’ annacquato dall’ironia, c’è lo sguardo impietoso e sferzante dell’Autore, che nei primi anni Settanta si autodefiniva come “lo scrittore meno sentimentale dell’ultima generazione”.
"Lo stolto continua a parlare mentre gli strumenti dicono molto più di questo, stai tranquillo e ascolta quello che non puoi esprimere" (andromeda57)
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Whiteshark
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Re: Monsieur Kitsch

Messaggio da Whiteshark »

Evidentemente quello è stato l'anno zero della borghesia italiana, visto che proprio nel 1972 Claudio Lolli pubblicò "Aspettando Godot" che conteneva la celebre "Borghesia". Battute a parte, la descrizione fatta dall'amico Insight è abbastanza agghiacciante, e credo che mi terrò alla larga da questo libro.
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Re: Monsieur Kitsch

Messaggio da Insight »

Libro anche "datato" perche' incentrato sulla figura sociale del piccolo-borghese, che in pratica non esiste più o non e' più di cosi' immediata identificazione....
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