Gravemente danneggiati durante un bombardamento nella Seconda guerra mondiale e successivamente restaurati, gli affreschi del Camposanto pisano di cui per secoli è rimasta incerta l’attribuzione comprendono, oltre al Trionfo della Morte, anche delle scene attigue che si trovano sulla stessa parete e che rappresentano il Giudizio Finale, l’Inferno e la Tebaide.
La critica è sempre stata concorde nel ritenere che tali affreschi fossero opera della stessa mano. Tuttavia, fino al XIX secolo inoltrato si è considerata valida l’attribuzione fatta dal Vasari, che riteneva gli affreschi del Camposanto opera del pittore fiorentino Andrea Orcagna, il quale aveva eseguito opere simili (soltanto nella figurazione, a dire il vero) dentro la Basilica di Santa Croce in Firenze.
Nell’Ottocento si cominciò a mettere in dubbio l’attribuzione del Vasari, essendo piuttosto evidenti le differenze stilistiche tra l’Orcagna e l’ignoto Maestro del Trionfo della Morte, e furono avanzate altre ipotesi. Finché si arrivò, nel 1933, alla pubblicazione di un saggio dello storico dell’arte Millard Meiss, che attribuì gli affreschi al pittore pisano Francesco Traini, dando così luogo a uno dei più grossi equivoci della storia dell’arte.
Già qualche anno dopo, l’ipotesi del Meiss fu contestata da Roberto Longhi, che invece riteneva che gli affreschi del Camposanto fossero opera della scuola bolognese, senza tuttavia riuscire ad individuare il Maestro che li aveva dipinti.
Fino alla pubblicazione di questo saggio di Luciano Bellosi, gli storici dell’arte erano dunque divisi tra un’opinione maggioritaria, che era quella del Meiss e che considerava il Trionfo della Morte e gli affreschi attigui opera del Traini risalente al 1350, e quella minoritaria facente capo a Roberto Longhi, secondo la quale il Maestro del Trionfo della Morte era un ignoto pittore bolognese che aveva dipinto gli affreschi del Camposanto circa un decennio dopo, intorno al 1360.
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Entrambi i critici si sbagliavano. Con un attento lavoro di analisi comparativa e filologica, incrociando le varie fonti a disposizione, il Bellosi dimostra nel suo saggio che il Maestro del Trionfo della Morte, del Giudizio Finale, dell’Inferno e della Tebaide è invece il pittore fiorentino (e girovago) Buonamico Buffalmacco.
Decisiva per l’attribuzione al Buffalmacco, è l’attenta comparazione con un affresco raffigurante il Battesimo del Cristo che si trova nel Duomo di Arezzo e che presenta delle evidenti analogie stilistiche con le raffigurazioni del Camposanto di Pisa e che il Vasari stesso e alcuni documenti risalenti al Trecento attestano come opera del Buffalmacco.
Oltre a ciò, a conferma, vi è un passo dei Commentarii del Ghiberti secondo il quale il pittore Buonamico Buffalmacco “fece in Pisa moltissimi lavorii. Dipinse in Campo Santo a Pisa moltissime istorie”.
Infine, anche un’analisi della moda e degli abiti indossati dalle figure dipinte nel Camposanto fanno propendere nettamente per il periodo in cui operava a Pisa il Buffalmacco, ossia intorno alla metà degli anni Trenta del Trecento.
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Oggi, ormai, grazie alla pubblicazione di questo saggio del Bellosi, nessuno dubita più che il Trionfo della Morte e gli altri affreschi che si trovano sulla stessa parete del Camposanto di Pisa siano opera del Buffalmacco e che risalgano circa al 1336, anticipando di oltre un decennio la datazione precedentemente più accreditata (quella del Meiss).Il Maestro del Trionfo della Morte, dunque - uno dei più grandi capolavori dell'arte italiana - è proprio il “pittore burlone” protagonista di tante novelle del Boccaccio e del Sacchi. Il suo nome, in realtà, era stato avanzato da alcuni studiosi anche in epoca assai più risalente rispetto a quella del Bellosi, ma l’ipotesi non era mai stata presa troppo sul serio dalla critica ufficiale, proprio in considerazione della fama letteraria del Buffalmacco…
Un particolare del Trionfo della Morte