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Processo per eresia

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Insight
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Processo per eresia

Messaggio da Insight »

Romanzo diviso in nove storie, scritto dal veneziano Neri Pozza (oltre che scrittore, fondatore dell’omonima Casa editrice), pubblicato nel 1970.

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Le storie, scritte in un realistico impasto di italiano e dialetto, hanno tutte come protagonisti celebri artisti veneti del Cinquecento, come il Giorgione, Giovambattista Cima, Vittorio Carpaccio, Lorenzo Lotto, Tiziano, Tintoretto, Paolo Veronese, Andrea Palladio e altri.
Sono storie inventate ma che si ispirano a fatti realmente accaduti, a dei frammenti di documenti ritrovati, e che talvolta fanno riferimento a un dipinto dell’artista.
Sono scarne di avvenimenti, si risolvono per lo più in dialoghi o in episodi della vita del protagonista e tendono a mettere in luce la personalità degli artisti: “eretici” per antonomasia, che fanno molta fatica ad adattarsi ai loro tempi, all’oscurantismo della Controriforma e alla tirannia dei potenti. Uomini tormentati, sempre divisi tra l’anelito alla libertà e gli obblighi imposti dal quieto vivere sociale.

Sintetizzo di seguito le tre storie che mi sono piaciute di più.

Donna della Dalmazia

E’ la storia che apre il romanzo. Ambientata a Venezia nel 1510, ha per protagonista il famoso pittore Giorgione (Zorzon), e ne coglie gli ultimi giorni di vita.

In una Venezia spettrale, sconvolta da un’epidemia di peste, mentre le barche dei “pizegamorti” trasportano cataste di bare sul Canal Grande e nelle calli bruciano i falò degli oggetti requisiti agli appestati, il giovane Zorzon torna dopo due anni a trovare il suo maestro Giovanni Bellini, ormai anziano e ridotto all’inattività.

Dopo un dialogo tra il maestro e l’ex allievo, che ha il mesto sapore di un addio e che lascia intravedere il momento di crisi e smarrimento che sta attraversando il giovane artista (che forse rimpiange i tempi in cui lavorava alla bottega del maestro), c’è un incontro tra Zorzon stesso e una giovane donna di origine dalmata che cerca di lasciare Venezia per raggiungere la sua famiglia, a Ragusa.
Ma lasciare Venezia in piena epidemia non è facile; sono proibiti sia gli ingressi che le uscite (ora ne sappiamo qualcosa anche noi :) ) e per andarsene è necessario uno speciale salvacondotto.

Zorzon, in cui la donna risveglia nuovi sentimenti e ispirazioni artistiche, decide di aiutarla e la ospita in casa, impegnandosi a procurarle un salvacondotto presso alcune sue conoscenze di vecchia data.

Tra l’artista e la donna nasce in una sola sera una sincera amicizia. L’artista il giorno seguente rincasa con il salvacondotto. Ma purtroppo di notte inizia a sentirsi male e gli sale la febbre. Giunge il medico con la cappa nera, che gli slaccia le vesti, gli palpa il ventre e gli prescrive un infuso. L’oscuro dottore se ne va dicendo che ritornerà l’indomani mattina…

La donna, così, assiste amorevolmente il malato per il resto della notte, tenendogli compagnia e cercando di alleviargli il più possibile le sofferenze. Infine, per volontà stessa dell’artista, che ormai ha capito di non avere più speranze, essa all’alba si mette in salvo e si imbarca per Ragusa con il salvacondotto.

Poco dopo, infatti, Zorzon verrà portato al lazzaretto, dove morirà di peste a soli trentadue anni, il giorno 17 settembre 1510.

Ciò che commuove di questa storia sono le ultime parole del Giorgione, dette alla donna che lo assiste e lo ascolta come in una confessione. Egli se ne va sommessamente, senza sapere che sarà ricordato come uno dei più grandi artisti del suo secolo, ma pensando addirittura di aver sprecato la sua breve vita con la pittura e di non essere riuscito ad esprimere la propria arte.


La modella del Tintoretto

Storia ambientata nel 1565. Jacopo Tintoretto, altro grande pittore, rimane affascinato da una ragazza che serve ai tavoli di una locanda, a Venezia, e chiede alla proprietaria del locale di poterla ritrarre in un quadro. La locandiera, dietro ricompensa, accetta.

Nei giorni seguenti, la giovane, che si chiama Zuliana, si reca più volte a casa del pittore e posa per lui, che la ritrae in un dipinto intitolato Il ratto di Arsinoe (il quadro ora si trova al Museo di Dresda).

Durante i lavori, Zuliana, che è di origini altoatesine, rivela al pittore di essere una luterana e anzi lo rimprovera per aver ritratto immagini sacre nei quadri che vede nel suo laboratorio. Secondo gli insegnamenti di Lutero, infatti, è un grave peccato rappresentare immagini divine.

Il Tintoretto non prende in considerazione la donna e non dà retta alle sue critiche. Per lui dipingere figure sacre non è un fatto di fede, ma semplicemente un lavoro. Come adesso sta dipingendo Arsinoe per un signorotto mantovano che gli ha commissionato il quadro, così altre volte egli ha eseguito opere per dei committenti religiosi. Per l’artista dipingere è il proprio mezzo di sostentamento economico e non gli importa che cosa gli viene commissionato. Detto in parole povere, della religione sembra non importargli molto…

Finito il quadro, che riesce benissimo, i due si lasciano. La donna, con stupore di Tintoretto, chiede come ricompensa, anziché soldi, il cartone da lui utilizzato per realizzare il quadro de La Creazione.

Tempo dopo, il Tintoretto viene chiamato a comparire innanzi al Tribunale della Santa Inquisizione di Venezia, dove gli viene contestato il suo legame con una donna di nome Zuliana Cherman, arrestata con l’accusa di aver diffuso la dottrina luterana e trovata in possesso di un cartone da lui realizzato.

Il pittore, durante il severo interrogatorio, riesce a chiarire la sua posizione dicendo di aver conosciuto la donna solo perché essa aveva posato per un suo quadro e di non sapere altro. Di lei può parlare soltanto come modella e riguardo al suo comportamento, in quell’occasione, non ricorda nulla di riprovevole.

Lasciato libero di tornarsene a casa, col terrore di essere seguito da qualche sbirro, il pittore si sente rimordere la coscienza per aver parlato soltanto in difesa di se stesso, facendo leva soprattutto sulla sua fama di artista e sulla sua “sincera” fede cattolica (in realtà ha mentito), e per aver difeso troppo tiepidamente la povera ragazza.


Processo per eresia

La storia che dà il titolo al romanzo ha per protagonista Paolo Veronese. Anche questa ambientata a Venezia, è incentrata su una famosa tela che il pittore dipinse sulla parete del refettorio del convento di San Zanipòl. L’opera gli venne commissionata dal priore del convento al termine dei lavori di restauro che erano durati tre anni, dopo che un grave incendio aveva distrutto l’edificio.

Il soggetto del quadro doveva essere (e in effetti è) l’Ultima cena di Gesù con gli apostoli. Ma il Veronese, mano a mano che procedeva col dipinto, si era reso conto di dover riempire una tela troppo grande rispetto alle tredici figure che vi doveva rappresentare: il quadro, infatti, misura ben tredici metri per sette.

Così, per riempire il vasto spazio della scena, il celebre pittore inserì altre figure, che c’entrano ben poco con l’ultima cena narrata dal Vangelo: alcuni servi, guerrieri in armi, Lanzichenecchi, la Maddalena inginocchiata, un nano con un pappagallo e persino un cane…

I frati, pur rimanendo perplessi, apprezzarono ugualmente la splendida opera e inaugurarono il convento restaurato il giorno dell’Ascensione del 1573, facendo confluire il numeroso pubblico proprio nella sala del refettorio, per farlo ammirare la grande tela del pittore Paolo Veronese.

Di diverso avviso fu il Tribunale della Santa Inquisizione, che pochi giorni dopo convocò il Veronese chiedendogli conto del significato di quell’opera e delle figure in essa rappresentate, che toglievano sacralità alla scena ed erano in odore di eresia…

Il pittore affrontò un lungo interrogatorio durante il quale cercò di giustificare il suo operato e spiegò il significato di ognuna delle figure contestate. Sostanzialmente, si difese facendo presente la propria buona fede e adducendo la necessità di dover riempire lo spazio così grande che gli era stato messo a disposizione e facendo peraltro constare che le figure “eretiche” erano comunque rimaste fuori dalla scena sacra, lontane dalla tavola dove siedono Gesù e gli Apostoli…

La difesa, tuttavia, non convinse il Giudice Inquisitore, che condannò l’illustre artista a “correggere ed emendare l’opera”, togliendo le figure “eretiche” entro tre mesi…

Mentre il Veronese nei giorni seguenti si accinse a malincuore (e arrabbiatissimo) a modificare la tela, un’idea brillante venne al priore del convento: se il problema per la Santa Inquisizione era che il quadro rappresentava l’Ultima cena di Gesù con gli Apostoli, perché semplicemente non modificare il titolo del quadro e chiamarlo, ad esempio, la Cena a casa di Levi?

L’idea piacque moltissimo all’artista e venne accettata (per fortuna) anche dalla Santa Inquisizione. Oggi, infatti, il famoso quadro, che in effetti si intitola Convito in Casa Levi , è custodito alla Galleria dell’Accademia di Venezia, così come il Veronese l’aveva dipinto nel 1573.
"Lo stolto continua a parlare mentre gli strumenti dicono molto più di questo, stai tranquillo e ascolta quello che non puoi esprimere" (andromeda57)
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Anni 80? No, grazie
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