Della tetra vicenda inventata da Berto esistono dunque la versione cinematografica, quella teatrale e quella narrativa. Occupiamoci qui del romanzo.
A Venezia, in una grigia giornata di novembre (nel romanzo l’anno dovrebbe essere il 1969), si incontrano dopo otto anni di separazione un uomo che ha poco meno di quarant’anni e una donna di qualche anno più giovane, che sono ancora legalmente sposati e hanno in comune un figlio di undici anni.
Otto anni prima, la moglie aveva abbandonato il marito e se n’era andata col figlioletto. Dopo aver passato un periodo da sola col bambino, si è legata con un altro uomo col quale tutt’ora convive a Milano.
Al momento dell’incontro, la moglie ignora il motivo per cui il marito l’ha chiamata a Venezia dopo tanto tempo. I due si erano molto amati, ma la relazione era finita male per causa del temperamento piuttosto instabile di lui: un artista, eccellente suonatore di oboe, ma incline a forti sbalzi d’umore; talvolta violento e fondamentalmente un insicuro e incapace di offrire alla moglie la solidità, la concretezza e la stabilità di cui essa ha bisogno. Sicurezza, concretezza e stabilita' emotiva sono tutte qualità che la donna, invece, trova nel suo nuovo compagno, un ricco milanese con i piedi per terra, dal quale ha avuto un altro figlio e che vorrebbe sposare per regolarizzare l’unione; ma ciò non le è stato possibile perché il marito ha rifiutato di comparire all’udienza di annullamento del matrimonio…
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Fin qui gli antefatti. Dopodiché il libro si sviluppa in una serie di dialoghi, di descrizioni e di lunghi silenzi fra i due, che girano per Venezia, la città dove entrambi sono nati e hanno vissuto insieme da marito e moglie prima che lei se ne andasse a Milano.Per tutto il tempo dell’incontro, la moglie cerca di scoprire il motivo per cui suo marito l’ha invitata a trascorrere una giornata a Venezia, ma lui elude sempre la domanda. Parlano ovviamente molto del loro passato e l’uomo provoca continuamente la donna. Nascono dei contrasti su vecchie questioni mai risolte, scoppiano piccoli litigi, e in un accesso d’ira lui la colpisce con uno schiaffo. Vi sono tuttavia anche dei momenti distesi, di dolcezza, durante i quali si capisce che i due in fondo si amano ancora.
Finalmente, nel pomeriggio, dopo un pranzo in una piccola trattoria, l’uomo svela il motivo dell’invito: gli è stato diagnosticato dai medici un tumore al cervello e gli rimangono poche settimane di vita. La donna, a questo punto, vuole rimanere con lui, non tornare più a Milano e stargli accanto fino alla fine.
Lui stoicamente rifiuta. Tuttavia, da quando emerge il motivo dell’incontro, la relazione si fa più intima e il marito invita la moglie a casa sua, facendole conoscere il suo progetto di fine vita: egli, infatti, sta scrivendo un concerto per oboe, che verrà rappresentato dopo la sua morte ed eseguito da un’orchestra da camera che ha allestito lui, composta dai giovani allievi del conservatorio.
Giunti a casa, dove il musicista ha realizzato una piccola sala di incisione, bevono un drink e ascoltano un pezzo dello stupendo concerto che però deve essere ancora completato.
Dopodiché, arrivano i ragazzi dell’orchestra per le prove. Il musicista, molto fiero, li presenta tutti alla moglie. Iniziano poi a suonare e lui si mette a dirigere l'orchestra. Ma poco dopo l'attacco, il maestro perde la concentrazione ed e' turbato dalla presenza della moglie; perciò interrompe le prove e chiede gentilmente alla donna di lasciarlo. Solo quando la moglie se ne va, ripartendo definitivamente per Milano, l’orchestra ritorna a suonare al meglio la magnifica melodia, che si spande malinconicamente nella sala durante la scena finale.
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Il film e il dramma teatrale ebbero molto successo, il romanzo un po’ meno. Giuseppe Berto, all’indomani dell’uscita del film, fu persino accusato di aver copiato la trama da Love Story. Nonostante il tema somigliante, tuttavia, le accuse erano infondate, giacché Berto consegnò al regista la sceneggiatura già tre anni prima dell'uscita del film, quando il romanzo di Erich Segal non era ancora stato pubblicato.A parte l’antipatia che provo per il protagonista, il romanzo mi sembra piuttosto inutile dopo il film e l’opera teatrale. Oltretutto la narrazione è appesantita da continue descrizioni e spiegazioni degli stati d’animo e dei comportamenti dei due protagonisti; aspetti che in un romanzo, a mio parere, dovrebbero essere lasciati all’immaginazione a all’intuito del lettore. Il fatto è che, pur essendo un romanzo, questa versione in prosa di Anonimo veneziano somiglia ancora molto a una sceneggiatura.
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Di Giuseppe Berto vedi anche:La gloria
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