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18 aprile 1978: una zebra molto speciale

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Insight
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18 aprile 1978: una zebra molto speciale

Messaggio da Insight »

Continua la "saga" di Insight... ;) Nella speranza di leggere anche (altri) vostri ricordi...


Una zebra molto speciale. (Racconto all'incontrario)


Questa storia la voglio raccontare all’incontrario, cioè partendo dalla fine, perché è un ricordo: e i ricordi, a ben vedere, che cosa sono se non dei viaggi dentro la nostra memoria che procedono nel verso opposto a quello del tempo?


Metà pomeriggio


Inizio dunque dalla fine, da quando io sono già tutto vestito e finalmente pronto per uscire dall’ospedale dopo otto giorni di ricovero. I miei genitori sono venuti a prendermi e c’è anche mio fratello; ora stanno parlando ancora col primario, anche se l’orario delle visite è già finito da un pezzo. Io me ne sto seduto in corridoio, su una panchina bianca (come quasi tutto qua in ospedale), rigiro tra le mie mani una zebra di carta che ho costruito poche ore prima, ritagliando i pezzi già pronti con le forbici, da un giornaletto per bambini. E’ venuta proprio bene, col corpo ben formato e tutto a strisce bianche e nere, con le zampe forti, il muso simpatico, la coda e tutto.

Sono contento di tornare a casa, ma, incredibilmente, non così felice come sento che dovrei essere; quasi infastidito, anzi, per non esserlo abbastanza: tanto ho aspettato questo momento - per cinque lunghissimi giorni dopo che sono tornato cosciente e mi hanno trasferito dalla rianimazione al reparto - e ora, invece, provo già una sottile nostalgia per questo luogo dove tutto sommato mi sono trovato bene, coccolato, servito e riverito come un principino dalle infermiere e dai medici; ho conosciuto altri bambini e mi sono persino divertito, perché ormai, una volta trasferito in reparto, non stavo più male, mi hanno trattenuto soltanto per controllarmi e sottopormi a degli esami. Ma che mi succede ora: possibile essere tristi quando si lascia un ospedale e si torna a casa guariti?

Forse, a parte la nostalgia, c’è anche un’altra ragione per questa mia strana tristezza: vedere, quando alzo gli occhi, attraverso il vetro del reparto, l’unico bambino che è rimasto e che da quando è arrivato, questa mattina, non ha fatto altro che dormire. L’avevano messo nel posto vicino al mio, ma io non sono riuscito nemmeno a conoscerlo, ho saputo il suo nome soltanto leggendo la cartella ai piedi del suo letto. Ora penso che quando finalmente si sveglierà si troverà da solo e non sarà una bella sensazione per lui. Allora, per un’ultima volta, anche se non dovrei farlo perché ormai non sono più un degente, apro la porta ed entro nel reparto, e gli lascio sul comodino la zebra. Gliela metto il più vicino possibile, col musetto puntato verso il guanciale, dove lui ha la faccia appoggiata e dorme come un angioletto, col respiro profondo e regolare. E l’infermiera che giunge subito dopo, anziché rimproverarmi perché sono entrato, mi mette una mano sulla testa, mi accarezza e mi dice con una voce dolcissima: “Bravo, hai fatto una cosa veramente speciale”, e mi dà persino un bacio sulla fronte.


Circa quattro ore prima


Eccola finalmente pronta la mia zebra: prima ho ritagliato con molta cura tutti i pezzi del suo corpo, e non è stato facile, perché le forbicette che mi ha dato l’infermiera, oltre ad avere la punta arrotondata, tagliano veramente poco e io, a dire il vero, non ho molta pazienza, non sono un bambino bravo a costruire e a fare i lavoretti manuali e…ho il difetto che mi piace trovare le cose già pronte. Ma dovevo passare il tempo in qualche modo, finché non sarebbero venuti i miei genitori a prendermi per portarmi finalmente a casa. Di leggere non mi andava più, così mi sono avventurato in questa impresa, nuova per me, avendo trovato la pagina da ritagliare in un giornaletto che mi aveva portato mio fratello qualche giorno prima. Ancora più difficile, poi, è stato dare forma ai vari pezzi, al grosso corpo, alle zampe, alla testa, alla coda, e attaccarli insieme usando un tubetto di colla con la quale naturalmente mi sono impiastricciato tutte le mani e poi, alla fine del lavoro, ho dovuto lavarmele con cura.
La zebra ha superato anche la “prova finale”, perché una volta costruita sta perfettamente in piedi sulle zampe. Ora ci gioco un po’, la muovo sulle coperte del letto, faccio finta che corra libera nella Savana, magari inseguita da un leone che se la vuole mangiare…

E’ davvero un peccato che io non possa mostrare la zebra che ho costruito con tanta fatica al mio vicino di letto, l’unico altro ospite del reparto, che è arrivato da circa due ore ma sta dormendo placidamente. Così, quando entra l’infermiera per misurarmi la pressione per l’ultima volta, non mi rimane che far vedere a lei il lavoretto concluso: “Ma è bellissima” mi dice. “Hai pensato a darle un nome?”.


Circa sei ore prima


E’ fatta. Non devo più fare altri esami, ho consegnato l’ultima provetta per le analisi dell’urina. Finalmente me ne potrò tornare a casa, non passerò un’altra notte qui, a dormire già alle otto di sera, al buio del reparto e con la luce azzurra sempre accesa in corridoio, con le infermiere che vanno avanti e indietro, le voci della televisione che arrivano da lontano, da un’altra stanza dove c’è la vita vera. Ora anch’io potrò ritornare a quella vita, tra le mie cose, i giocattoli, i libri, i giornalini, la televisione, la mia mamma e il mio papà, mio fratello…e poi di nuovo a scuola, con i miei amati compagni di classe e con il mio caro maestro.
Non mi resta che aspettare l’ultima visita del primario e far trascorrere le ore che ancora mancano perché mi vengano a prendere, poi potrò togliermi il pigiama e vestirmi finalmente con gli abiti normali.
Allora, mentre sono seduto nel letto, immerso in questi felici pensieri, prendo distrattamente il giornaletto che ho sul comodino e inizio a sfogliarlo, finché trovo quella pagina, con la zebra da ritagliare. E dopo averci pensato un po’, mi alzo e mi avventuro in corridoio, raggiungo la saletta dove stanno le infermiere e chiedo forbicette e colla.

Dopo qualche minuto, mentre già sto ritagliando i primi pezzi, portano dentro lui, un nuovo ospite del reparto: è un bambino più piccolo di me, poco dopo saprò che ha soltanto sei anni (mentre io ne ho già quasi nove). Lo reggono in due per le braccia, la sua mamma e l’infermiera. Cercano di farlo camminare, ma lui sbanda, gli gira la testa, non sta in piedi da solo. Lo mettono disteso sul letto e si addormenta subito, senza dire una parola. Poi la mamma se ne va e rimane soltanto l’infermiera. Allora, le chiedo che cos’ha, che cos’è successo a quel povero bambino.
“Una cosa molto brutta” mi risponde l’infermiera. “Ma se la caverà, ormai ha solo bisogno di dormire”.
“Ma che cosa? Cosa gli è successo?” insisto io, curioso.
“Mentre la sua mamma era via e lui era da solo a casa, ha bevuto quasi mezza bottiglia di whisky” fa l’infermiera.
“Oddio, no…” rispondo impressionato, e lascio cadere le forbicette e tutto; e la pagina con la zebra da ritagliare scivola leggera sul pavimento accanto al letto.


Mattina presto


E’ triste svegliarsi completamente da soli nel reparto. Ieri pomeriggio, i miei quattro compagni sono stati dimessi tutti insieme contemporaneamente, sono venuti i loro genitori a prenderli. Mi hanno salutato, erano vestiti bene, con le scarpe da passeggio, mentre io ero in pigiama e pantofole, seduto sulla panchina bianca del corridoio, bianca come quasi tutto qua in ospedale. Se ne sono tornati a casa felici. Anch’io ero contento per loro, ma allo stesso tempo mi è venuto un magone perché rimanevo da solo e ancora non si sapeva fino a quando sarei dovuto restare.

Ma oggi, soltanto dopo mezz’ora dal triste risveglio, mentre mi sto lavando dietro il paravento - in un angolo del reparto dove c’è un lavandino e che è stato il mio bagno per cinque giorni - sento entrare l’infermiera che, da dietro il paravento, mi dice:
“Forza, fai presto, devi fare ancora un prelievo del sangue, poi quell’altro prelievo e poi…te ne vai a casa”.
“A casa? E quando?”.
“Questo pomeriggio”.
Allora, sento la gioia che dilaga dentro il mio cuore. Finisco di lavarmi alla velocità della luce e penso che oggi sarà una giornata davvero speciale, una di quelle che ricorderò per sempre.
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galerius
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Re: 18 aprile 1978: una zebra molto speciale

Messaggio da galerius »

Leggere questi ricordi in forma di racconti intimisti è sempre un piacere.
Peccato non sia anche una mia abilità...!
Attento, Black Jack, perché adesso ti tingo...sarebbe "ti tengo", ma è per far rima con...GRINGO...!
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lisa jean
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Re: 18 aprile 1978: una zebra molto speciale

Messaggio da lisa jean »

Che bello questo racconto! Voglio dire, è bello sapere tirare fuori da un'esperienza dolorosa, come un ricovero ospedaliero (con la scoperta del dolore, proprio ed altrui, soprattutto in un'età così verde), delle belle emozioni da trasmettere. Bravo Insight! em_ok2
Chissà che ne è stato di quell'altro bambino...
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RebekahMikaelson
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Re: 18 aprile 1978: una zebra molto speciale

Messaggio da RebekahMikaelson »

Anche questo mese un bellissimo racconto di vita vissuta,narrato da professionista: grazie, Insight, e bravissimo! :yee:
E' bello e ha dentro tanto sentimento. Hanno avuto fortuna i tuoi amici a conoscere un bambino così buono e sensibile: non so se allora ce ne fossero di più, ma ai miei tempi (fine '90-primi 2000) i ragazzi così, soprattutto maschi, erano davvero rari e penso che oggi sia anche peggio :(
Sono sicura che anche oggi, pur adulto, il tuo cuore sia ancora così bello!
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Re: 18 aprile 1978: una zebra molto speciale

Messaggio da Insight »

Grazie, amici, i vostri commenti mi riempiono di felicità :) Ora però mi fermo per qualche mese, altrimenti va a finire che vi racconto la storia della mia vita :lol: E spero tanto nel frattempo di leggere altri contributi...
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